Cooperativa Edificatrice “Ferruccio Degradi”

SpazioTeatro89, via Fratelli Zoia 89

domenica 9 novembre 2008, ore 17.00

8° Rassegna Musicale “In Cooperativa per amare la musica – I concerti dello SpazioTeatro89”

Allodole, Romanzi, Crisantemi

Tre storie per un Quartetto

Quartetto Fragmente

Jacopo Bigi – Violino

Cosimo Paoli – Violino

Claudia Marino – Viola

Teodora Dolara – Violoncello

F.J. Haydn (1732-1809): Quartetto per archi in re magg. op. 64 n. 5, “L’allodola”  (1790)

Allegro moderato; Adagio; Menuet: Allegretto; Finale: Vivace

L. Janacek (1854-1928): Quartetto per archi n. 1 "Sonata a Kreuzer" (1923)

Adagio con moto; Con moto; Con moto: Vivace - Andante; Con moto: Adagio

G. Puccini (1858-1924):  Tre Minuetti per Quartetto d'archi  (1884)

  Crisantemi, Elegia per Quartetto d'archi (1890)

Il Quartetto Fragmente nasce nel 2006 dall’incontro delle prime parti

dell’Orchestra Giovanile Italiana. Cresce sotto la preziosa guida del M° Zigante

(Quartetto di Torino), si perfeziona con i Maestri Giovaninetti (Quartetto Ysaye), Piero

Farulli (Quartetto Italiano), A. Nannoni, H. Bayerle (Quartetto Alban Berg), M.

Skampa (Quartetto Smetana), A. Keller (Quartetto Keller) presso la Scuola di Musica

di Fiesole. E’ allievo effettivo dell’Accademia Europea del Quartetto (membro

dell’European Chamber Music Academy) . Ha seguito corsi con il Quartetto Prometeo,

S. Bernardini (Quartetto Le Musiche), Trio Altenberg, Quartetto Kuss, P. Cropper

(Quartetto Lindsay). Nell’ agosto 2008 ha partecipato alla “18° Internazionale

Sommer Akademie 2008 – ISA, Praga – Vienna - Budapest” a Reichenau (Austria),

Ha tenuto concerti in occasione del “Festival Musica in Etruria” (Sarteano), “Festival

Aosta Classica” (Aosta), “Piemonte in musica” (Bardonecchia), “Toscana Esclusiva”

(Firenze), “Festival dei Saperi” (Pavia), “SpazioTeatro89” (Milano), Festival

Internazionale di Musica Contemporanea “Contemporaneamente” (Lodi), “concerti La

Mortella 2007” (Ischia), “Associazione Musicale Lucchese”, Lucca, Empoli; all’estero

ha tenuto concerti in Austria per il Musikfestival di Reichenau an der Rax,

Muerzzuschlag, Feistitz. È stato invitato a suonare nel 2009 per la stagione

dell’Accademia Filarmonica di Bologna.

Il Quartetto Fragmente si è inoltre aggiudicato la borsa di studio “Alimondo Ciampi”

come migliore giovane formazione cameristica 2007, e nel 2008 la borsa di studio

“Paolo Fioretti”, assegnate dalla Scuola di Musica di Fiesole. Nel 2008 ha ottenuto

il terzo premio al VI Concorso Nazionale “Nuovi Orizzonti” Città di Arezzo.

Allodole, Romanzi, Crisantemi

Tre storie per un qurtetto

La prima storia ha quasi tre secoli, potremmo davvero iniziarla con il classico "c'era una volta"; ed è una storia che si confonde con quella più ampia di tutto il genere musicale chiamato "Quartetto d'archi". Sì, perché Haydn di questo genere è senza dubbio il fondatore, o quanto meno il primo che gli abbia conferito l'importanza che poi si è consolidata ed accresciuta nei secoli successivi. "Conversazione tra quattro persone ragionevoli", così Goethe definiva sinteticamente il Quartetto d'archi; è una frase meritatamente celebre, che ci fa cogliere l'amabilità di un fare musica che è come un salottiero scambio di bon mots ora brillanti, ora arguti, ora soavemente malinconici; e ci invita anche a una più ampia riflessione sulla civiltà musicale viennese come espressione privilegiata del secolo dei lumi: le quattro persone impegnate nella conversazione musicale del quartetto d'archi sono tutte ragionevoli allo stesso modo, e discorrono liberamente ognuna di volta in volta contribuendo all'animarsi o al rasserenarsi del dialogo; non più l'antica tradizione barocca di voci gregarie nel ronzio quasi indistinto del basso continuo, non più narcisistiche esibizioni di melodie fiorite; e neanche più, ben inteso, intellettualistiche ostentazioni di contrappunto severo, poichè un bravo conversatore deve evitare, insieme ad insipienza e frivolezza, anche lo sfoggio non richiesto di dottrina; i moderni Quartetti sono invece espressione di una nuova concezione dei rapporti umani che di lì a poco si sarebbe rivelata, e non in senso metaforico, rivoluzionaria, e mirabili esempi di come la libera partecipazione degli individui possa dar luogo a organismi ordinati, armoniosi e densi di significati universalmente comprensibili grazie a un linguaggio in cui la chiarezza, la razionalità e l'efficacia dell'eloquio sostituiscono tanto la complessità senza piacevolezza del barocco, quanto la leggerezza senza contenuto del rococò.

Di Quartetti Haydn ne compose più di ottanta; quelli dell'op. 64 sono tra le ultime opere scritte avanti il primo viaggio a Londra. Correva l'anno 1790, e Haydn era da quasi trent'anni al servizio dei principi Esterhazy; per un musicista, essere al servizio di un ricco e munifico aristocratico dell'impero asburgico aveva certo il pregio della stabilità, ma si configurava pur sempre  come una condizione servile e, comunque, di totale dipendenza dalla buona o cattiva volontà del proprio signore; ciononostante, era condizione perseguita e desiderata, in quanto inevitabile e senza alternative, quando Haydn la assunse nel 1761; ma era divenuta ben poco attraente, e anzi del tutto anacronistica in quel 1790, quando la Bastiglia era già caduta, e quando anche i musicisti aspiravano, al pari di tutta la borghesia, all' emancipazione. Haydn, dunque, pur ancora formalmente dipendente degli Esterhazy, già da qualche anno assaporava a Vienna un anticipo di quella vita da libero professionista che avrebbe condotto dal viaggio londinese in poi, instaurando con l'editore Artaria, e con l'aiuto tutt'altro che disinteressato del violinista Johann Tost (che provò anche a spacciare per sue alcune opere di Haydn), un fiorente commercio delle sue Sinfonie e dei suoi Quartetti. E proprio a Johann Tost, virtuoso primo violino dell'orchestra di Esterhaza, sono dedicati i Quartetti dell'op. 64, come già quelli delle op. 54 e 55. Il quinto dell'op. 64 deve il grazioso soprannome "L'allodola" alla leggiadra figurazione con la quale il primo violino si aggiunge ai bicordi del secondo violino e della viola, imitanti le movenze tipiche dei corni ed evocanti dunque un'ambientazione pastorale  ben adatta al canto della "messaggera del mattino" (così Shakespeare fa chiamare l'allodola da Romeo2). Ma il pittoresco, come sempre in Haydn, è qui funzionale alle ragioni prettamente musicali dello sviluppo tematico, e questo canto trillante diviene subito punto di partenza per elaborazioni motiviche che divengono le vere protagoniste di quanto segue, coinvolgendo l'ascoltatore in un avvincente racconto in cui le idee musicali sono i personaggi, e la forma-sonata, da Haydn padroneggiata con perfetto equilibrio tra appagamenti, rinvii e sorprese rispetto a quanto ci aspettiamo accada, l'intreccio. I movimenti seguenti sono anche esemplari dell'equilibrio formale ed espressivo raggiunto dal loro Autore: un Adagio cantabile di intenso lirismo, un Menuetto tipicamente haydniano nei toni di danza paesana, ma già proteso verso i beethoveniani Scherzi per l'energica accentuazione del ritmo, e un vivacissimo Finale in perpetuum mobile, bella immagine sonora dell'alacre, arguto ingegno di Franz Joseph Haydn, nonchè dura palestra di agilità individuale e perfezione dell'insieme per gli interpreti.

La Sonata a Kreutzer (quadro di Rene Prinet)

La seconda storia è più complicata, sembra quasi un gioco di specchi. Allora, all'inizio dell'800 c'era un grande violinista, si chiamava Rudolph Kreutzer. Beethoven lo conosce, lo stima, e nel 1805 gli dedica una Sonata, pur avendola due anni prima  già eseguita insieme a un altro virtuoso dell'archetto, l'oggi dimenticato Bridgetower. La Sonata è incredibilmente bella, potente, appassionata, insomma beethoveniana al massimo grado; chissà, forse Beethoven spera di eseguirla con Kreutzer, forse immagina con lui delle tournée che lo portino a raccogliere meritati allori in tutta Europa. Beethoven era allora il più grande compositore vivente, ma anche il musicista che il fato beffardo aveva menomato proprio nella facoltà uditiva, e quindi infelicemente costretto a una vita isolata, scorbutica, da misantropo suo malgrado, proprio lui, uomo amico dell'umanità e pietoso verso i suoi destini quant'altri mai!  Ma la Sonata, ironia della sorte, non piacque al dedicatario; non si fece alcuna tournée, l'isolamento del Titano della musica rimase quello che era. La Sonata a Kreutzer entrò comunque nel repertorio di tutti i più importanti violinisti delle generazioni successive,e acquistò fama universale presso il pubblico di tutta l'Europa prima, del mondo poi, e anche di quel mondo molto particolare e da sempre separato sia dall'Europa che dall'Asia  che da sempre è la Russia. Arrivò, questa Sonata, con la sua forza trascinante e irresistibile, una forza che ha più del catastrofico evento di natura che della creazione umana, sino alle orecchie di Lev Tolstoj, che intitolò "Sonata a Kreutzer" un suo romanzo breve pubblicato nel 1891, nel quale il protagonista, il tormentato Pozdnyscev, racconta a un compagno di viaggio della sua devastante gelosia verso la moglie, che l'ha portato all'omicidio di questa, e di come la causa scatenante, la scintilla che fece esplodere tanto la passione adulterina di lei quanto, per inevitabile conseguenza, la reazione violenta di lui, fosse l'incontro musicale, ma già implicitamente erotico, della moglie con un violinista sulle note della Sonata a Kreutzer. E si chiede Pozdnyscev: come non cedere ai sensi, come non abbandonarsi all'istintualità più animalesca, se si ascoltano suoni come quelli pensati da Beethoven in questa Sonata?

Certo noi moderni, post-femministi, post-liberazione-emancipazione-sessuale, post di tutto e di più, possiamo sorridere di tale arcaico moralismo e di tale furore censorio verso le espressioni artistiche; ma se vedessimo l'altro lato della medaglia, e riconoscessimo nel moralista Tolstoj (come già, in altri tempi, nel totalitario Platone) una comprensione e un riconoscimento del potere della musica e dell'arte in genere sull'animo umano ben maggiori e ben più profondi dei nostri moderni, post-femministi, post-emancipati ecc. ecc. punti di vista?  E aggiungo anche: come la metteremmo, se questi aspetti per noi così scabrosi del tolstoismo non fossero separabili da quelli, almeno a parole, universalmente apprezzati del suo pacifismo radicale e della sua filantropia utopistica?

Ma la nostra storia non è ancora finita: circa vent'anni dopo, il filo del nostro racconto passa ancora a un musicista, al moravo Leos Janacek; questi si rifà direttamente al romanzo tolstoiano, e inizia un Trio con pianoforte ispirato da questo intreccio di gelosia, eros e morte. Dal Trio, lasciato incompiuto, nascerà, una quindicina d'anni dopo, il Quartetto per archi n.1 "Sonata a Kreutzer". Troviamo qui gli aspetti più tipici della musicalità di Janacek, aspetti che ben possiamo definire romanzeschi: il tono parlante delle figurazioni melodiche, la libera declamazione del periodare, la frammentarietà delle costruzioni formali, tutto ci parla di un'intenzione narrativa  attenta ad esprimere i rapidi cambiamenti di affetti tanto quanto accadrebbe su un palcoscenico durante un dramma in prosa, e questo ci ricorda come i massimi raggiungimenti Janacek consegua proprio nell'ambito del teatro musicale, e citiamo qui almeno l'intensa, drammaticissima "Jenufa", il modernissimo "Affare Makropulos" - che tra l'altro a gennaio potremo conoscere in un nuovo allestimento del Teatro alla Scala -  e, a conferma della predilezione di Janacek per le suggestioni della letteratura slava e russa in particolare, così come del suo impegno politico a favore degli umili e degli oppressi, l'estrema "Da una casa di morti", dal romanzo autobiografico di Dostoevskij.

     

La terza storia ci riguarda, come italiani, più da vicino. Giacomo Puccini, si sa, come e più di Janacek deve la sua fama e la sua gloria alle creazioni per il teatro d'opera. Fino alla generazione prima della sua, la carriera di operista in Italia era del tutto indipendente e alternativa a quella  di compositore di musica strumentale: Bellini non ci lascia nulla oltre ai capolavori teatrali, Verdi arriva a comporre un unico Quartetto in età più che matura, e le eccezioni di Donizetti e Rossini, titolari di un rispettabile catalogo anche di musica strumentale, sono spiegabili con gli studi "germanofili" con Simone Mayr il primo, con padre Mattei il secondo. Ma procedendo verso la fine del secolo, incalzando la concorrenza del wagnerismo, ovvero di uno stile che anche nel teatro introduceva grandi effetti di colore orchestrale e un raffinatissimo impiego dell'armonia e del cromatismo, anche nel Paese del Melodramma occorse presupporre come indispensabile per i futuri operisti una formazione musicale più completa. Fu così che il giovane Puccini arrivò a Milano per imparare da Antonio Bazzini, grande violinista, nonché direttore del milanese Conservatorio, l'arte di comporre bene, al di là del genere musicale affrontato. Tra i primi esercizi di stile affrontati dal talentuoso allievo vi sono tre Minuetti, ovvero tre esempi di una danza che già Beethoven aveva relegato tra le "buone cose di pessimo gusto", trasformandolo, mediante accelerazione del movimento e sottolineatura degli impulsi ritmici, nel più energetico e dirompente Scherzo. I minuetti pucciniani sono deliziosi, ci ridanno il sapore delle buone cose di una volta, ma senza rinunciare a quel tocco di modernità sotto forma di un lirismo sempre spiegato e di chiara intenzione vocalistica. Solo dei compiti di scuola? Niente affatto, perché pochi anni dopo, quando sarà alle prese con le trine morbide e le seduzioni settecentesche di Manon Lescaut, Puccini si ricorderà di questi aggraziati lavori di accademia, e ne inserirà i temi parte all'inizio dell'Opera, parte nella scena di ballo a casa del vecchio Geronte. E nella stessa Manon, nel quarto e ultimo atto, verrà riutilizzata anche l'elegia "Crisantemi".

Amedeo Ferdinando Maria di Savoia, postumo dedicatario dei Crisantemi di Puccini

Il luttuoso titolo di questo brano, scritto da Puccini di getto in una sola notte, è legato all'evento che lo ispirò, la morte di Amedeo Ferdinando Maria di Savoia. Questi, figlio cadetto di Vittorio Emanuele II,  re di Spagna nel 1871, aveva abdicato nel 1873 dopo aver preso atto di non godere dell'approvazione popolare, comportamento questo davvero regale, e dal quale molti sedicenti democratici dovrebbero saper trarre insegnamento. Tornato in Italia, una polmonite lo fulminò a soli  45 anni. La musica che Puccini dedica alla sua memoria è di intenso lirismo, con una semplice forma A-B-A, in cui l'episodio principale, denso di cromatismo tristaneggiante, si alterna a un tema più quieto, ma sempre di profonda mestizia.

Ecco, le tre storie promesse dall'endecasillabo che titola il concerto le ho raccontate; una quarta, che tutte le riassumerebbe, potrebbe essere quella del quartetto d'archi attraverso tre secoli di storia della musica. Ma, come direbbe Moustache, il barman filosofo di un celebre film di Billy Wilder, "questa è un'altra storia", e dunque vi faccio grazia del raccontarla in questa sede. Luca Schieppati

2 A puro titolo di curiosità, ecco alcune altre musiche per le quali l'allodola ha fornito l'ispirazione: Haendel, concerto grosso "L'allodola e il cucù"; Schubert, Serenata da Shakespeare "Hark,hark, the lark!";  Tchaikowsky, Canzone dell'Allodola dalle Stagioni; e chissà quante altre di cui adesso non mi sovviene. Divertente sarebbe poi fare una conta musico-ornitologica, confrontando le musiche dedicate alla messaggera del mattino, con quelle invece ispirate dal notturno usignolo.