Concerto di venerdì 22 febbraio, ore 20.30

Pianista: Natalia Katyukova

"If music be the food of love, play on!"


Shakespeare in music

S. Prokofiev (1891-1953): Romeo e Giulietta, Suite dal balletto, op.75

Danza popolare

Scena: le contrade si svegliano

Minuetto: arrivo degli ospiti

La giovane Giulietta

Maschere

Montecchi e Capuleti

Frate Lorenzo

Mercuzio

Danza delle ragazze con i gigli

Romeo e Giulietta prima dell'addio

F. Schubert (1797-1828)/F. Liszt (1811-1883): Hark,hark, the lark!, Serenata dal "Cymbeline"


F. Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847)/S. Rachmaninov (1873-1943):

Scherzo dal "Midsummer night's dream" (Sogno di una notte di mezz'estate)



NATALIA KATYUKOVA, è nata nel 1979 a Klin, nelle vicinanze di Mosca; i suoi concerti nella casa-museo di Tchaikovskij, che a Klin stabilì la propria residenza e compose tanti dei suoi capolavori, sono ormai una gradita consuetudine per i concittadini. A soli 14 anni è stata scelta per un concerto presso la casa-museo di Liszt a Weimar. In seguito ha tenuto concerti in diverse città della Russia,nonché in Germania, Finlandia, Serbia, Italia. Ha effettuato numerose registrazioni per la radio Russa. Con la Grand Symphony Orchestra diretta da Vladimir Fedoseev ha eseguito opere di Tschaikovsky e Rachmaninov; con l'Orchestra Haydn di Bolzano e Trento e con la Philharmonia Wien dirette da Ola Rudner ha eseguito il 4° concerto di Beethoven a Bolzano, Trento e Belgrado. Nel 1998 è ammessa al Conservatorio di Mosca, nella classe del prof. Lev Naumov, dove apprende la grande tradizione della scuola di Heinrich Neuhaus, diplomandosi a pieni voti nel 2003. Dal 2003 al 2005 vive in Italia e frequenta il Conservatorio “Monteverdi” di Bolzano, allieva di Luca Schieppati, diplomandosi con il massimo dei voti, la lode e la menzione ad honorem Dall’ottobre 2005 vive a Fort Worth, in Texas (USA), dove grazie a una borsa di studio frequenta le lezioni di Tamas Ungar presso la Piano Texas International Academy (TCU - Cliburn Piano Institute). Ha ottenuto riconoscimenti in vari concorsi internazionali: diploma di merito al Concorso "Dino Ciani Teatro alla Scala" di Milano e al Concorso di Andorra; Grand-Prix laureate al Concorso Internazionale di Musica da Camera di Kiev; terzo premio al Concorso "Ettore Pozzoli" di Seregno; secondo premio (primo non assegnato) e premio per la miglior interpretazione di un brano di Messiaen al Concorso Internazionale “Premio Massaza” di Casale Monferrato; finalista nel 2004 del Premio delle Arti organizzato dal Ministero dell’Università, Istruzione e Ricerca; finalista del concorso “Ferruccio Busoni” 2004/2005, nel 2006 2° premio al concorso MTNA negli Stati Uniti. Ha tenuto recitals per importanti associazioni italiane, si ricordano in particolare quelli per le Serate Musicali di Milano, per Palazzo Ducale di Lucca, per il Settembre Musicale dell’Isola di S. Giulio, per gli Amici del loggione di Milano. E' ospite per la seconda volta dello SpazioTeatro89.





If music be the food of love, play on!” è il primo verso de “La dodicesima notte” (“Twelvth night”, conosciuta in italiano anche come “La notte dell'epifania”), e possiamo tradurlo con “se la musica è il nutrimento dell'amore, suonate!” Sembrerebbe una convenzionale perorazione dell'intensità dell'amore, che mai non si stanca, che si nutre di bellezza e armonia, che vivace e dolce a un tempo vibra insieme al suono e al canto. Senonché Shakespeare, che il segno avrebbe lasciato non sulle carte dei cioccolatini, ma nell'eternità, ha affidato queste parole a un personaggio, il duca Orsino, che tutto ha in mente tranne che lodare l'eternità dell'amore. Così prosegue il suo discorso: “...suonate, datemi musica in eccesso, così che il mio desiderio, saziato fino alla nausea1 possa ammalarsene e morireE a confermare che la sua “music therapy” è efficace, dopo aver risentito per l’ennesima volta la melodia che tanto gli era piaciuta al primo ascolto, esclama: “Ma basta, ora cessate…Non m’è più così dolce come prima.“ Ecco il colpo d'ala, ecco la retorica che annulla se stessa portandoci in regioni dell'anima che possono prescindere da ogni retorica. Ed ecco svelata, fin dalle prime righe, con quella sintesi che solo i grandi spiriti sanno attingere, la cruda legge delle passioni umane, che si nutrono del desiderio stesso, e non di ciò che dicono di desiderare.

Questa premessa, oltre che doverosamente spiegare il senso del titolo dato al concerto, lasciato finora sibillinamente nella sola lingua del Bardo, vuol anche essere un invito ad avvicinarci a Romeo e Giulietta, ovvero a un dramma divenuto il prototipo di ogni storia di amore, con sguardo il più possibile vergine, evitando che le nostre impressioni siano influenzate dai luoghi comuni di un oleografico romanticismo da fotoromanzo con cui troppo spesso la tragedia dei due infelici amanti di Verona è stata edulcorata. Ben vengano dunque le asprezze della musica di Sergej Prokofiev, le sue armonie ora spettrali, ora burlesche, i suoi ritmi ora frenetici, ora selvaggi, i suoi temi, anche i più struggenti, sbalzati su timbri di metallo arroventato: meglio, molto meglio di patinati polpettoni cinematografici o lacrimevoli caravanserragli operettistici2 possono rendere la verità profonda del testo shakespeariano, la sensualità ma anche l'astrazione e la costante tensione tra realtà e mito nell'amore di Romeo e Giulietta, così come la furia sanguinaria dei loro congiunti; la bizzarra filosofia di Mercutio, miscuglio tutto rinascimentale di magia ed epicureismo, così come l'esoterismo alchemico di Frate Lorenzo, vero deus-ex-machina di tutta la vicenda.

Prokofiev scrisse il balletto nel 1935, e ne trasse la suite per pianoforte nel 1937. La suite è pienamente godibile anche come musica assoluta, anche cioè prescindendo dalla sua originale destinazione per la danza; e del resto quelle di Prokofiev non sono mere trascrizioni, ma veri e propri adattamenti, volti a evitare quelli che, in assenza di movimenti coreografici, sarebbero percepiti come momenti di eccessiva stasi nello scorrere del senso musicale. Curiosamente, la suite si conclude con l'ultimo addio dei due innamorati; forse è scelta senza particolari significati, ma forse è il riflesso anche sulla versione pianistica di una disputa che, incredibile ma vero, sorse tra il compositore e il coreografo riguardo alla necessità o meno di rispettare il finale tragico della vicenda. Vuoi per evitare che il pathos della morte di entrambi i protagonisti potesse essere considerato espressione di “decadenza borghese”, vuoi per assecondare antiche tradizioni che, anche comprensibilmente, preferivano in un balletto avere personaggi in grado di stare fino all'ultimo in posizione eretta; vuoi infine, e più probabilemente, per ottenere il plauso del partito per aver instillato nel pubblico ottimistici sentimenti da veri rivoluzionari, fatto sta che il coreografo, supportato dai vertici del teatro, suggeriva un rassicurante happy end; Prokofiev fortunatamente tenne duro, e il finale rimase quello shakespeariano. Ma a causa di questa surreale divergenza di opinioni, oltre che per le difficoltà nel coreografare una musica così ritmicamente inquieta, la prima rappresentazione nel committente teatro Kirov di Leningrado dovette attendere fino al 1940, un anno in cui sia il pubblico che il partito, per una volta unanimi, preferivano di Prokofiev le musiche scritte per l'Alexander Nevsky, dove sull'equazione russi-sovietici-buoni/cavalieri teutoni-nazisti-cattivi, nessuno poteva, né può tuttora, nutrire dubbio alcuno,



Rudolf Nureyev e Margot Fonteyn in Romeo e Giulietta

piuttosto che quelle di un balletto privo di qualsivoglia valenza ideologica.3 Il consolidarsi del successo per il Romeo e Giulietta di Prokofiev fu comunque inarrestabile a guerra finita: in patria anche grazie a un film di Lev Arnshtam del 1955 con la danzatrice Galina Ulanova, già protagonista delle prime rappresentazioni; in tutto il mondo, grazie alla messa in scena che negli anni '60 vide protagonisti il divino Rudolf Nureyev e la non meno divina Margot Fonteyn, in un allestimento di Kenneth MacMillan la cui vitalità non accenna ad estinguersi, tanto da essere proprio in questi giorni sulle scene della Scala, per la bravura dell'apollineo Roberto Bolle.

Imogen dal Cymbeline, di Wilhelm Ferdinand Souchon (1872)

Cymbelino è uno dei drammi più particolari di Shakespeare. Già è difficile decidere come definirlo: commedia proprio no, perché va bene che manca il bagno di sangue conclusivo, ma pur sempre ci scappa il morto. Tragedia neppure, per gli stessi motivi, ribaltati, di cui sopra. Meglio rimanere nel vago, “dramma romanzesco”, “tragi-commedia”, oppure “dramma barocco”, considerando la strana mescolanza di generi, caratteri, vicende, nonché il tortuoso dipanarsi degli intrecci, come caratteristica tipica di tutta l'epoca in cui fu scritto, più che peculiarità sua propria. Sia quel che sia, il lunghissimo Cymbelino a noi qui interessa per una sua brevissima pagina: una serenata - ma sarebbe meglio chiamarla “alborada”, alla spagnola, o “aubade”, alla francese, (in italiano non c'è parola equivalente), perché viene cantata al mattino -nella vana speranza di recare un dolce e gradito risveglio alla bellissima Imogen, figlia di primo letto del re britanno Cimbelino. Questo il testo della Serenata, o Aurorata che dir si voglia:


Hark, hark! the lark at heaven's gate sings,

And Phoebus 'gins arise,

His steeds to water at those springs

On chaliced flowers that lies;

And winking Mary-buds begin

To ope their golden eyes:

With every thing that pretty is,

My lady sweet, arise:

Arise, arise.

Odi? Canta l'allodola alla porta del cielo,

e Febo già si leva:

bevera i suoi cavalli alle sorgive

che in fondo ai fiori nascono.

Già gli occhi d'oro incerti

comincian le calendole ad aprire.

Con ogni cosa bella lévati,

dolce mia signora, lévati!

Anche qui, come con il primo verso della Dodicesima notte, sembreremmo in piena convenzionalità amorosa. Ma avrete capito che non bisogna mai fidarsi di brani estrapolati dal contesto, e chiediamoci dunque un po' di cose. Prima di tutto: chi canta questa serenata? Un musico, su richiesta di Cloten, figliastro del re, e figlio di primo letto della regina. Questa, perfida, vorrebbe combinare il matrimonio tra Imogen e suo figlio, per ottenere a lui la successione al trono. Ma, inutile dirlo, la ragazza ha altro per la testa, e il goffo e a sua volta perfido Cloten con la sua corte non suscita altro che noia ed irritazione. Si tratta insomma di un personaggio che presenta chiare connotazioni negative, ed è dunque già indicativo il fatto che non si esponga personalmente nel canto, ma chieda l'aiuto di un musico, confermando un’altra celebre frase shakespeariana sulla musica: “L'uomo che non ha alcuna musica dentro di sé, che non si sente commuovere dall'armonia di dolci suoni, è nato per il tradimento, per gli inganni, per le rapine” 4.Ed egli stesso sembra consapevole di questa sua insensibilità quando dice, introducendo i musicisti per la serenata: “Sono dell'idea di farle avere musica ogni mattina, mi hanno detto che è una cosa molto penetrante”, seguitando poi con una serie di doppi sensi “for adult only” a partire dal verbo penetrare, con buona pace degli odierni edulcoratori di cui sopra (che comunque, contrappasso estetico, riescono a ottenere risultati ben più volgari di questi doppi sensi anche senza usarli). Ma quel che qui ci interessa è quel “mi hanno detto che...”, come a dire che da solo mai avrebbe pensato a un potere della musica sull'animo umano. Quindi solo i malvagi non “sentono “ il potere della musica? Non solo; nel Mercante di Venezia, Jessica, che malvagia proprio non si può dire, dice queste parole: “Non sono mai allegra quando odo una dolce musica”, che potrebbe essere una anticipazione dello schubertiano “non esistono musiche allegre”, o, più probabilmente, l’espressione del timore, nella “marrana” figlia di Shylock, di essere assimilata a chi è nato per il tradimento, gli inganni e le rapine. Il suo innamorato Lorenzo però la rassicura con questa ulteriore spiegazione: “La ragione è che la vostra anima è sempre intenta....Ascoltate la musica!”, affermando così la necessità anche di un attivo movimento del nostro animo, che assecondi e corrisponda al flusso benefico delle vibrazioni musicali; la musica è incontro di due diverse armonie, il macrocosmo delle leggi fisiche, e il microcosmo della nostra percezione individuale; solo se nulla ostacola la seconda, la prima potrà invadere i nostri pensieri e riempirci di gioie sovrumane. Anche rischiando un letale “surfeiting” come il duca Orsino, s'intende.

La serenata di Cloten, come dicevamo, non sortirà alcun effetto sulla bella Imogen; certo perché proveniente da un animo arido e malvagio; ma anche, aggiungiamo noi, perché ancora non era nato Schubert a musicarla: il breve Lied, che stasera ascoltiamo nella bella e garbata trascrizione lisztiana, brilla infatti per leggerezza e soavità, e ci può far legittimamente pensare quello che lo stesso Cloten, non per competenze musicali ma per irredimibile arroganza, ci dice quando la musica è appena finita: “Se penetrerà, apprezzerò meglio la vostra musica. Altrimenti, vuol dire che c'è un difetto nelle sue orecchie”



Titania abbraccia Bottom con la testa d'asino, di H. Füssli (1793)

Concluderà questo programma dedicato a Shakespeare in music, tema affascinante e inesauribile che senz'altro avrà un seguito nelle prossime stagioni, la trascrizione che Rachmaninov fece dello Scherzo dalle musiche di scena composte da Mendelssohn per il Midsummer night's dream, il dramma forse in assoluto più musicale di tutta la produzione shakespeariana, non a caso il primo a esser musicato5 già pochi decenni dopo la morte del suo autore, nella Fairy Queen di Henry Purcell.

Felix Mendelssohn, Felice di nome e di fatto, unico tra i grandi Romantici ad aver ricevuto i temperamenti gioviali e mercuriali in maggior copia di quelli saturnini, crea con queste musiche di scena una magia fatta di aerea leggerezza e ultraterrene beatitudini. Questo, va detto, anche a discapito di una piena aderenza al testo shakespeariano. La commedia, infatti, nonostante la levigata superficie fiabesca, è opera di densità e complessità tali da suscitare ad ogni lettura nuove scoperte. Possiamo considerare il Midsummer night’s dream come un raffinato gioco di scatole cinesi: nello strato più esterno abbiamo il dramma mitologico delle nozze di Teseo, duca d’Atene, e Ippolita, regina delle Amazzoni. Poi c’è la commedia lirico-pastorale dei quattro giovani innamorati, Ermia e Lisandro, Elena e Demetrio. Apriamo un’altra scatola, e troviamo la fairy tale di Oberon, re degli elfi, e Titania, regina delle fate. Ultimo strato, ma non il meno importante, è quello della farsa un po’ sguaiata, nello stile della commedia dell’arte, con i rozzi personaggi capitanati da quel Bottom il cui nome è meglio non tradurre in italiano. Tutti questi diversi livelli interagiscono con una levità e una scorrevolezza che diresti magiche, o meglio oniriche, visto che, culmine del teatro nel teatro, gli stessi personaggi a un certo punto si chiedono se le loro vicende siano vissute o sognate, così che facilmente, nella percezione dello spettatore, i diversi stili si uniformano ad uno solo ritenuto preponderante, quello appunto del racconto fatato e del sogno. Questa è perlomeno la lettura che ha avuto più credito dal romanticismo in poi, e ruolo rilevante nel perpetuarsi di tale interpretazione fino ai nostri giorni spetta senz’altro alle musiche di scena scritte da Mendelssohn, e all’incantamento di quel colore orchestrale leggiadro e mutevole che trasforma ogni evento della rappresentazione, ragli d’asino di Bottom compresi, in pura bellezza. La trascrizione di Rachmaninov ci rende intatte tutte le qualità dell’originale, obbligando l'interprete a un tour-de-force di destrezza, oltre che a una mirabile prova di ipersensibilità timbrica e armonica.

Fortunati dunque gli ascoltatori di questo concerto, perché tutto ciò trova interprete ideale nel sensitivo pianismo di Natalia Katyukova, da anni beniamina della nostra rassegna, che per essere qui stasera ha varcato l'oceano, veloce al pari di Puck6, o di Mab7: a lei il mio più sentito ringraziamento.

(Luca Schieppati)




Oberon, Titania e Puck, di William Blake (1785)




(Per chi volesse approfondire alcuni degli argomenti trattati consiglio, oltre ovviamente alla lettura dei drammi di William Shakespeare, anche questi saggi:

René Girard: Shakespeare, il teatro dell'invidia (Adelphi)

Frances Yates: Cabbala e occultismo nell'età elisabettiana)

1 mi è difficile tradurre diversamente l'efficacissimo e sintetico surfeiting

2 so che bisogna essere moderni e parlare di “musical”, ma preferisco chiamare il misto di canzoni e recitazione parlata con il nome, cui storicamente spetta il primato, di “operetta”, in cui il diminutivo era, anche da parte di chi ne scriveva, volutamente, consapevolmente spregiativo rispetto ai generi considerati maggiori

3E dunque suscettibile di attirarsi l'accusa peggiore per un artista della russia sovietica: quella di “formalismo”; ci sarebbe da sorridere, se non fosse che in nome del “formalismo” tanti artisti furono inibiti, terrorizzati, perseguitati.

4 Il mercante di Venezia, Atto V, scena I

5 Primo di una lunga serie, e basti qui citare i capolavori verdiani (Macbeth, Otello, Falstaff), il belliniano Capuleti e Montecchi, il Romeo e Juliette di Gounod, il Midsummer night’s dream di Britten…

6 Il folletto, discolo ma benevolo, che, agli ordini di Oberon, innesca le magiche vicende del Midsummer night's dream

7 La Regina delle Fate nel racconto di Mercutio a Romeo (Romeo e Giulietta, atto I scena IV)